Il 2013 è stato per l’Italia un anno travagliato: le elezioni governative non hanno prodotto una maggioranza capace di governare; la stabilità chiesta con forza dalla Unione Europea ha spinto le principali forze politiche del paese a trovare un accordo per un governo di larghe intese, un governo di transizione per fare le riforme necessarie al paese, per evitare il rischio default, fare una nuova legge elettorale e far ripartire l’economia. Al momento la strada da percorrere è ancora lunga.
Che cosa ottiene l’istruzione da questa congiuntura politica? A guida del ministero dell’Istruzione è stata nominata una figura di comprovata esperienza nel campo dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza. Come ministro si attiva per stanziare più fondi all’istruzione e a luglio il Consiglio dei Ministri vara un decreto legge che stanzia 400 milioni di euro per rendere la scuola italiana più “moderna e funzionale” come precisato dal premier Enrico Letta. Il pacchetto scuola prevede cento milioni per aumentare il Fondo per le borse di studio degli studenti universitari, 15 milioni per la lotta alla dispersione scolastica, misure per usare libri di testo di edizioni precedenti, viene definito un piano di immissioni in ruolo di personale docente educativo e ausiliari tecnico-amministrativi, 10 milioni per la formazione dei docenti. Nel febbraio del 2014 è nominato presidente del Consiglio Matteo Renzi che sceglie Stefania Giannini come ministro dell’Istruzione: la misura più importante che mettono in campo sono i fondi per la ristrutturazione delle scuole. Le premesse su carta della futura riforma scolastica sono buone.
Dopo un periodo di tagli indiscriminati all’istruzione si assiste a un cambiamento di rotta. A nostro avviso le risorse stanziate e le iniziative sono ancora poche, soprattutto le misure per contrastare la dispersione scolastica. Nel rapporto del 2012 abbiamo evidenziato come l’abbandono scolastico sia uno dei problemi principali che affliggono l’istruzione e alimentano il divario territoriale tra Nord e Sud Italia. La lotta alla dispersione scolastica è uno degli obiettivi della Strategia Europa 2020, che chiede all’Italia di ridurre al 16 per cento il tasso di abbandono entro il 2020. Non è un obiettivo facile da raggiungere soprattutto perché in alcune regioni come Sardegna e Sicilia negli ultimi anni la dispersione è aumentata, segno della mancanza di un coordinamento e di un’attività mirata tra governo, regioni e provincie.
Il Miur, dal canto suo, impone alle regioni il dimensionamento scolastico con chiusure di scuole e istituti. In Sardegna, il Tar ha dato ragione alla richiesta avanzata da parte delle famiglie degli alunni delle Scuole di via Sant’Alenixedda, dell’Istituto Grazia Deledda e del Conservatorio Cima e Manno di Cagliari contro l’accorpamento della prima e la soppressione degli altri due istituti: i giudici amministrativi hanno bocciato il piano di Dimensionamento 2013 e costretto l’Amministrazione Regionale a fare marcia indietro.
Purtroppo la Regione rischia di commettere lo stesso errore per il 2014. Il 4 gennaio, in ritardo rispetto alle altre regioni italiane, sono state rese pubbliche dalla Regione Sardegna le Linee Guida che dispongono l’avvio delle operazioni del “Dimensionamento della rete scolastica della Sardegna per l’anno scolastico 2014/15”. La maggioranza delle regioni italiane ha avviato le azioni necessarie per dar seguito al dimensionamento nei mesi di settembre/ottobre. Il testo pubblicato da governo regionale non contiene novità rispetto all’anno scorso e non risolve i problemi evidenziati dalle sentenze del Tar.
L’Amministrazione regionale nel prendere queste decisioni ha mancato di partecipazione e concertazione. Le Linee Guida per il dimensionamento scolastico nell’anno 2014/2015 sono state approvate dalla giunta regionale senza confronto aperto e costruttivo con le Province; per di più il tavolo di confronto interistituzionale è menzionato nelle stesse Linee Guida. Viene meno il contributo dei territori e delle amministrazioni locali nella definizione del Piano dell’offerta formativa. Sarebbe auspicabile in futuro, per la definizione del Piano dell’offerta formativa, un confronto proficuo e propositivo con i territori, le amministrazioni comunali e le istituzioni scolastiche.
Alla fine del 2013 è scoppiata la protesta dei dirigenti scolastici perché con accorpamento e dimensionamento sono aumentate le loro responsabilità rispetto al passato: ogni preside ha in media 5-6 scuole e quando ha anche la reggenza, si arriva a 10-12; e i loro compensi sono rimasti invariati. Per questi motivi a Gennaio 2014 hanno protestato contro il blocco delle retribuzioni e la mancata perequazione con altri funzionari pubblici. Sempre nel 2014 l’istruzione è stata protagonista della campagna elettorale per le regionali in Sardegna, diventando uno dei punti principali del programma politico di alcuni schieramenti. Aspettiamo che le promesse siano mantenute.
Nel rapporto dello scorso anno avevamo evidenziato quali erano per noi i punti dove intervenire per migliorare l’istruzione: stanziare maggiori risorse, contrastare la dispersione scolastica, incentivare il tempo pieno e la costituzione di reti scolastiche, ridurre il divario territoriale attraverso politiche volte a contrastare le differenze socioeconomiche, stabilizzare i docenti, migliorare le infrastrutture e i servizi, incentivare le classi eterogenee e non quelle omogenee in base alla bravura dei ragazzi, migliorare l’orientamento scolastico, potenziare la scuola media, dare un peso maggiore ai laureati nel mercato del lavoro, potenziare la formazione degli insegnanti, aumentare l’autonomia delle scuole nella gestione delle risorse umane, economiche e del curricola, implementare un sistema di valutazione esterna e un sistema di raccolta dati esaustivo e condivisibile, migliorare il sistema di relazioni tra istruzione e mondo del lavoro, enti locali, famiglie e territorio, aprire nuovi Istituti Tecnici Superiori, favorire la formazione extrascolastica. Infine, il punto più difficile da attuare ma come abbiamo visto il più importante, che sta alla radice del divario territoriale e che coinvolge il governo centrale: mettere al primo posto dell’agenda politica la riduzione delle disuguaglianze socioeconomiche.
Le nostre proposte di intervento sono tante e richiedono una riforma strutturale e soprattutto molte risorse economiche da investire. Per questo motivo iniziamo la nostra ricerca analizzando come è cambiata nell’ultimo anno la spesa per l’istruzione del governo nazionale e della Regione Sardegna. La nostra indagine proseguirà analizzando i numerosi dati messi a disposizione dalla rapporto Pisa 2012: partendo dal punteggio medio in matematica degli studenti italiani e lo utilizzeremo come misura della qualità dell’istruzione nei paesi; attraverso questo cercheremo di dare una spiegazione al divario territoriale in istruzione tra le regioni italiane.